venerdì 21 dicembre 2012

solstizio d'inverno




Quando al solstizio d'inverno il Sole rinasce in forma di Bambino, può assumere anche il volto di un  abete, di un ginepro, di un agrifoglio, o quello, ancor più misterioso, di una pianticella che non tocca mai terra e si deve tagliare con un falcetto d'oro.


A. Cattabiani
Erbario, 1994



domenica 16 dicembre 2012

il tredicesimo segno: Ofiuco





Visibile alle nostre latitudini in primavera, la grande costellazione dell'Ofiuco rappresenta un uomo che tiene tra le mani un serpente o ne è avvolto dalle spire. Il suo nome deriva dal greco Ofiokos che significa appunto colui che tiene il serpente.
Benché nota agli antichi, l'astrologia occidentale non tiene conto della costellazione di Ofiuco; solo negli anni 70 Steven Schmidt pensò di inserirla tra le costellazioni astrologiche, proponendo uno zodiaco a 14 segni, dove, oltre ad Ofiuco, aveva incluso anche la Balena. Conobbe una certa popolarità in Giappone quando Berg e Yazaki, negli anni 90 suggerirono una carta astrologica che comprendeva anche il segno dell'Ofiuco.
Quindi gli Oroscopi sono tutti da rifare? Probabilmente no, perché l'astrologia non si basa su un'osservazione astronomica, ma su dati convenzionali
Lo zodiaco è la fascia che si estende sopra l'eclittica, l'orbita descritta apparentemente dal sole che, nel percorso annuale intorno alla terra, sembra attraversare le costellazioni.
Quelli che noi chiamiamo segni zodiacali sono delle ripartizioni dello zodiaco basate, non su dati astronomici, ma su cicli stagionali: a partire dall'equinozio di primavera, il momento in cui si intersecano eclittica ed equatore celeste, detto anche punto vernale, si divide la fascia zodiacale in dodici parti uguali di 30 gradi ciascuna. Ogni settore corrisponde ad un segno che viene a coincidere con l'inizio di una stagione ( i segni cardinali: Ariete, Cancro, Bilancia, Capricorno), il suo culmine (i segni fissi: Toro, Leone, Scorpione, Acquario), o la sua fine (i segni mobili : Gemelli, Vergine, Sagittario, Pesci).
Si tratta di una divisione convenzionale, in quanto le costellazioni, che il sole sembra attraversare nel suo moto apparente, hanno astronomicamente una diversa estensione, dai 7 gradi dello Scorpione, ai circa 40 della Vergine.
I segni zodiacali sono collegati alle rispettive costellazioni soltanto dal nome: a causa della processione degli equinozi, ai giorni nostri, il punto vernale non cade più nel segno dell'Ariete, ma nel precedente segno dei Pesci e pertanto le costellazioni astrologiche vengono a trovarsi sfasate rispetto a quelle astronomiche. Quindi, benché alcuni astrologi lo tengano in considerazione, si può dire tranquillamente che Ofiuco è una costellazione ma non un segno zodiacale.
Chi rappresenta Ofiuco? Per i Greci incarnava Asclepio, il dio della medicina, figlio di Apollo e Coronis, che, già incinta del dio, si innamorò di un mortale, Ischis. Avvertito da un Corvo dell'adulterio, Apollo uccise Coronis, ma quando la donna era già sulla pira funebre, estrasse dal grembo il figlio ancora vivo.
Affidato al centauro Chirone, che lo istruì nell'arte della medicina, il giovane Asclepio, divenne così abile da resuscitare persino i morti. Incenerito da Zeus, su suggerimento di Ade, il dio degli inferi, preoccupato da questa inquietante capacità, fu posto in cielo nella costellazione dell'Ofiuco o Serpentario.
Il centro più antico del culto di Asclepio fu in Tessaglia a Tricca, ma Il santuario più famoso era certamente Epidauro, dove si praticava l'Incubatio: il paziente veniva fatto dormire nel recinto del tempio del dio e un sacerdote ne interpretava i sogni, traendone diagnosi e auspici per la salute. Il culto di Asclepio si diffuse anche a Roma a partire dal III a. C, dove si asseriva che il dio chiamato Esculapio fosse arrivato nell'Urbe sotto le sembianze di un grosso serpente, per combattere un'epidemia.
Il serpente, animale associato nel mondo antico alla medicina, per la capacità del suo veleno di guarire, è simbolo di immortalità perché muta ogni anno la pelle. E' quindi sacro  non solo ad Aslepio – Esculapi,o che viene raffigurato con il caduceo,  una verga con un serpente attorcigliato, ma di quasi tutte le divinità legate all'arte medica nel bacino del mediterraneo. Anche il bastone di Mosè è per alcuni una specie di verga di Esculapio: mutatosi in serpente, liberò l'Egitto dalle piaghe e, una volta piantato nel deserto, diventa il serpente di ferro, capace di curare gli ammalati con lo sguardo.
Il serpente è anche un animale associato alla terra, alla luna e alle divinità femminili delle grandi madri, le cui sacerdotesse conoscevano i segreti della medicina. Con l'arrivo degli Elleni in Grecia, il culto delle grandi madri fu soppiantato da quello degli dei e quindi l'uccisione di Coronide, antica dea cui era sacro il corvo (il suo nome significa proprio cornacchia) e la nascita di Aslepio sono immagine del cambiamento da una società matriarcale ad una patriarcale. Pure il corvo, divenne animale sacro ad Apollo.
Osservando la carta del cielo del 3500 a. C, si nota come Ofiuco si trovasse in opposizione al sole durante l'equinozio di primavera e la sua testa sembrava poggiare specularmente su quella di un'altra costellazione collegata ad un eroe mitologico: Ercole. Ofiuco pare schiacciare lo Scorpione, mentre Ercole fa lo stesso con il Drago, immagine che rimanda ad una prossima vittoria dei due eroi solari sulle forze oscure del caos, dopo aver attraversato le tenebre invernali; simbologia che ben si adatta alla posizione delle costellazioni sull'eclittica che presiedono proprio al tardo autunno quando la forza del sole pare venir meno.
Per chi vuole ugualmente vedere nell' Ofiuco, un segno zodiacale, vi appartengono i nato tra il 30 novembre e il 17 dicembre, che sarebbero dei saggi illuminati, eremiti amanti dell' ambiente e filantropi.

E poi...

A. Cattabiani. Planetario, Mondadori, Milano 2001
L'Universale, la grande Enciclopedia Tematica, Simboli, Garzanti 2004
L'Universale, la grande Enciclopedia Tematica, Antichità classica, Garzanti 2004
www.astropoli.it

domenica 9 dicembre 2012

Erica, la pianta delle fate






Un po' mi assomigliano queste piante solitarie, amanti dei grandi spazi. Anche se preferisco vederle nel loro habitat sono contenta che siano tornate a rallegrare con i loro colori caldi i giardini e i balconi. Parlo delle Eriche, rustiche e resistenti, tanto da diventare simbolo di solitudine e forza, piante magiche per alcuni popoli, con i fiori che ricordano i cappelli degli elfi.
In realtà noi chiamiamo Erica una grandissima varietà di specie della famiglia delle ericacee. I generi sono tre: Erica che comprende oltre 600 specie, la Calluna, con la sola specie di Calluna Vulgaris, e la Daboecia con due specie sempreverdi e rustiche, a fiori grandi e campanulati.
Le Eriche sono tra loro diverse per aspetto e provenienza. La maggior parte è originaria del bacino mediterraneo, altre provengono dell'Europa continentale, molte sono indigene dell'Italia.
Di comune hanno la rusticità e una buona resistenza, infatti il nome Erica deriva dal verbo greco ereikon che significa rompere. Si pensava infatti che le sue radici rompessero la pietra, e quindi il suo decotto fosse un rimedio utile contro i calcoli.
Le Ericacee Hanno aspetto diverso, sia per dimensioni che per fiori e foglie.
Erica arborea
L'Erica Arborea, originaria dell'Europa meridionale è abbondante anche in Italia. Fiorisce in primavera e può raggiungere un'altezza di 6 metri, i fiori a forma di globi, rimangono sulla pianta anche quando sono secchi. Viene chiamata anche “scopa” perché nelle campagne era usata appunto per fabbricare le scope.
Erica carnea

L'Erica Carnea ha fiori rosa piccoli con antere rosse. Fiorisce all'inizio dell'anno, ma alcune specie arrivano in fiore fino a maggio. Originaria dell'Europa continentale in Italia è presente sulle Alpi e sull'Appennino settentrionale, può arrivare a vivere fino a 2500 metri di altitudine.
Altre Eriche, originarie dei paesi mediterranei o del sudafrica, come l'Erica Autumnalis o l'Erica Multiflora, sono meno rustiche e da noi vanno coltivate con qualche accorgimento visto che non tollerano le gelate.
Un cesto di calluna vulgaris
Una bella presenza sui nostri balconi, chiamata semplicemente Erica è in realtà la Calluna Vulgaris. È stato il botanico Salisbury nell'ottocento a dissociare la Calluna dal genere Erica. E'un arbusto nano con fiori pendenti dai colori che variano dal bianco, al rosa, al lilla che fioriscono soprattutto in autunno.
Il nome Calluna deriva dal verbo kallynein che significa scopare. Non siate maliziosi: questo arbusto era usato nelle campagne per fare le scope, mentre con il legno si fabbricavano i fornelli per le pipe.
È chiamata anche Brugo da brucus che era il nome celtico della pianta da cui deriva poi la parola brughiera. Si adatta alla terra povera e calcarea e forse per questo è associata alla solitudine.
Il suo fiore dà miele saporito e piuttosto pregiato.
In medicina è consigliata per curare le affezioni della vie urinarie: si usa contro la cistite e la diarrea, e pare che il suo decotto, se aggiunto all'acqua del bagno, sia efficace contro i reumatismi.
I popoli nordici consideravano l'Erica l'erba delle fate che, secondo alcune leggende, dimoravano fra i suoi fiori. Era sconsigliato addormentarsi sopra un cespuglio d'Erica, perché si rischiava di essere rapiti da loro, ma allo stesso tempo, ci si metteva in contatto con l'aldilà.
Le scope di Erica, utilizzate anche per pulire i templi, scacciavano gli spiriti maligni dalla casa. L'Erica bianca era considerata un portafortuna per il matrimonio.
Forse perché fiorisce per lo più in autunno, l'Erica è associata al segno dello Scorpione e pare ne tempri le asperità del carattere.
Le ericacee sono arbusti perenni, anche se sta prendendo piede l'abitudine, forse dettata dalla pigrizia, di trattarle da annuali. Sono di coltivazione facile in giardino più difficile in vaso (per la cronaca io ci ho provato a conservarle, dopo l'inverno, ma a luglio mi hanno preso un colpo di calore e sono schiattate). Tranne quelle prettamente mediterranee, sono rustiche e adatte a climi piuttosto rigidi. Vanno collocate in pieno sole, in terreno acido(quelle mediterranee tollerano una certa dose di calcare) misto di sabbia e torba. L'innaffiatura deve essere frequente,meglio se con acqua piovana o comunque poco calcarea, facendo attenzione ai ristagni e concimate con moderazione perché è facile “bruciare” le radici.
Se si vuole conservare la pianta specie se in vaso, a primavera è consigliabile eseguire una leggera potatura mescolando il legno tagliato alla terra.


...e poi
Eriche europee e sudafricane, Coltiviamole così; F.Fessia in Gardenia 306, ottobre 2009
Enciclopedia tematica, Fiori e giardino
A.Cattabiani, Florario, Mondadori 1996

www.leserre.it



sabato 1 dicembre 2012

avvento





Adesso che le zucche

 evaporate 

 sciolgono il ghigno 

arancio 

e senza denti 

nei piovaschi. 



Oggi che il 

giallo
 
delle foglie 

annacqua morto 

le pozzanghere 



E su cielo
 
grigio
 
si fa vero 

il profilo 

verde e bianco 

delle chiese
 
rinascimentali

 

Aspettate ad 

accendere le luci.

Non turbate 

i crepuscoli 

già svegli dopo pranzo

 

Per piacere 

vorrei rinascere in pace




Alisa Mittler, 2006

giovedì 29 novembre 2012

Il Senso del Tempo n.2 - UROBORO






È il tempo che rinasce mangiando se stesso e  si rinnova ciclicamente. Un simbolo che pare pensato per la fine di novembre, mese di chiusura e di inizio di un nuovo ciclo.
Sulla frontiera tra una stagione agricola e l'altra, i celti festeggiavano il Samhain, il capodanno tra il 31 ottobre e il 1 novembre; nei dodici giorni successivi, tempo fuori dal tempo, quando tutto si rimescola in una morte simbolica che annuncia una rinascita, nelle nostre campagne si aprivano le porte di comunicazione con l'aldilà. Pure la liturgia cattolica chiude l'anno con la festa di Cristo Re che cade, di solito, nell'ultima settimana di novembre, per aprirlo con l'avvento la domenica successiva.
L'Uroboro, il serpente che si morde la coda, è conosciuto in tutte le civiltà euro asiatiche come immagine della continuità cosmica, dei cicli che si rinnovano creando l'eternità.
Come il serpente, che si credeva ringiovanisse mutando pelle, così l'anno rinasce: la bocca del serpente mangia la su stessa coda, l'ultimo mese dell'anno si ricollega al primo del successivo. La stessa parola latina annus ha origine dalla particella an, che significa intorno, a simboleggiare proprio la forma circolare tempo e Crono, che del Tempo è signore, regge un Uroboro nella mano sinistra.
Gafurius, Musica delle sfere
Nei testi ermetici greci rappresenta l'alterna vittoria della vita e della morte, mentre, per la simbologia cristiana, che lo raffigura con al centro una croce o un'ancora, è immagine del cosmo che riceve vita e significato dal Cristo.
Anche il musicista rinascimentale Gafurius, illustrando la musica delle sfere, rappresenta un lungo serpente che attraversa l'universo: ha la testa sulla terra e la coda finisce nella sfera più alta, sotto i piedi del dio Apollo e delle muse disegnando un cerchio. Il Tempo, spartito dell'universo ha le sue radici nell'eternità.
Uroboro alchemico
L'Uroboro è anche un simbolo alchemico: rappresenta un processo ciclico di riscaldamento, evaporazione, raffreddamento, condensazione e di nuovo evaporazione della materia, tanto che spesso è raffigurato come un serpente che che morde la coda del drago alato sopra di lui.
E per finire Gabriele d'Annunzio, molto attento al valore simbolico delle immagini scelse proprio un Uroboro come emblema della Reggenza del Carnaro: l'impresa di Fiume infatti, sebbene finita nel tempo storico, continua a vivere come Tempo dell'anima.


e poi...
L'Universale, la grande Enciclopedia Tematica, Simboli, Garzanti 2004
E. Wind. Misteri pagani nel Rinascimento, Gli Adelphi, 2012
A. Cattabiani, M. Cepeda Fuentes. Bestiario di Roma, Newton Compton, 1996


domenica 25 novembre 2012

B. Antelami. Novembre, Battistero di Parma, Ciclo dei mesi


Per il mese di Novembre andiamo al battistero di Parma, a vedere il ciclo dei mesi di Benedetto Antelami. Dello scultore, vissuto a cavallo tra il XII e il XIII secolo, si conoscono pochi dati: probabilmente fu originario della Valle d'Intelvi, in Lombardia e lavorò soprattutto a Parma, ma dall'analisi delle opere si può dedurre che conoscesse la scultura francese.
Fu architetto del Battistero di Parma e artefice delle decorazione che iniziò, come si può leggere su una lapide nel 1196.
Il ciclo dei mesi è composto di dodici altorilievi che rappresentano uomini intenti alle attività stagionali, affiancati dei rispettivi segni zodiacali. Altre due statue raffigurano le stagioni inverno e primavera. L' autunno e l' estate sono andate perdute.
Gli studiosi si dividono sulla originaria collocazione dell'opera: secondo la Frugoni le statue dovevano essere collocate all'interno: su ognuno dei 16 lati avrebbero trovato posto i dodici mesi più le quattro stagioni. Secondo il Quintavalle invece, provengono da un portale dei mesi originariamente progettato e mai attuato. Il segno è lineare e raffinato, ma le scene sono rese con naturalezza e attenzione ai particolari.
Le figure iniziano con il mese di marzo quando anticamente cadeva il Capodanno e invecchiano man mano che si prosegue, mese dopo mese.
Gennaio è raffigurato anziano, ma ha dietro la testa una seconda faccia più giovane: un' immagine di Giano,il dio che governava tutti i passaggi, anche quelli da un anno all'altro. Come già detto nel post su settembre, durante il medioevo era tipico rappresentare i mesi attraverso i lavori agricoli: il lavoro contadino, lungi dall'essere disprezzato, era un'occasione per inserire la salvezza dell'uomo attraverso la quotidianità del tempo e dello spazio.
Novembre è raffigurato come un anziano contadino intento a raccogliere le rape.
È un'iconografia piuttosto insolita: generalmente a questo mese si associava la macellazione del maiale. Anche nella cattedrale di Ferrara, dove è presente un ciclo dei mesi, a rappresentare novembre c'è un raccoglitore di rape.
La rapa , o Brassica campestris, era nel medioevo un alimento semplice e molto diffuso ma al contempo nutriente e dalle molte proprietà. La loro raccolta simboleggiava la sapienza e la virtù che si possono trovare nella vita semplice, fra gli umili.
Era anche simbolo di rinascita.
Jack o'Lantern, il furbo peccatore che, per aver osato ingannare il diavolo, fu condannato a vagare per l'eternità e che si ricorda nella notte di Halloween, porta la lucerna dentro una zucca. Ma non è sempre stato così: originariamente, il disperato Jack aveva costruito la sua lucerna dentro una rapa cava, poi, quando la leggenda fu “esportata” negli Stati Uniti, vista l'abbondanza di zucche nel nuovo mondo, fu sostituita appunto dalla zucca.

 

giovedì 22 novembre 2012

Martino di Tours patrono dei cornuti


Il santo di novembre è senza dubbio Martino, vescovo di Tours e patrono di Belluno, festeggiato l'undici del mese. Martino nacque in Pannonia, nell'odierna Ungheria nel 316 o 317, educato al paganesimo intraprese, come il padre, la carriera militare. Rimase però affascinato dalla religione cristiana, e, dopo la conversione, lasciò l'esercito e si ritirò a vita eremitica a Ligugè nei pressi di Poitiers. Eletto nel 371, suo malgrado, vescovo di Tours, continuò a preferire la vita contemplativa, tanto da andare ad abitare in una piccola casa poco distante dall'episcopato dove fondò il monastero di Marmoutier, uno dei più antichi d'Europa.
Martino attraversava le campagne per evangelizzare e il suo vigore nel combattere i culti pagani è testimoniato da parecchi episodi leggendari, che lo vedono abbattere i simboli dell'antica religione, o intraprendere cruenti duelli contro il demonio. La sua popolarità fu grandissima, accresciuta anche da poteri taumaturgici, tanto che, dopo la morte, a Tours, sul luogo della sepoltura, venne eretta una chiesa che divenne uno dei più importanti centri di pellegrinaggio europei.
Sia la tradizione agiografica ufficiale, che la letteratura popolare sono ricche di storie e aneddoti destinati ad alimentare la fervida fantasia dei fedeli; nel XV secolo di diffusero i Martiniadi, compilazioni di racconti sulla vita del santo in onore del quale vennero composti anche canti in volgare.
La grande notorietà di S. Martino ha fatto si che la tradizione letteraria e la cultura popolare, lungi dall'essere comparti asettici dialogassero e si influenzassero tra loro, così che, nei giorni della sua festa, si fondono elementi agiografici, reminiscenze di culti pagani e tradizioni calendariali.
San Martino è tradizionalmente ritenuto patrono di molte categorie come i Fanti, i mendicanti e i sommelier, ma curiosamente nell'Italia centrale è soprattutto il protettore dei cornuti.
In Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Umbria, nella capitale, fino in Campania, l'11 novembre si tengono processioni e feste in onore dei coniugi traditi. In Umbria c'è addirittura uno sdoppiamento della festa: l'11 si festeggiano gli uomini mentre il 12 è la vota delle donne cornute; probabilmente a causa del vecchio calendario liturgico che, il 12 di novembre, ricordava un santo omonimo: Martino I papa.
Quella di San Martino era una festa che non aveva i requisiti dell'ufficialità: testimoni raccontano di come ci si riunisse “informalmente” tra amici e parenti per consumare vino e castagne; le corse e le processioni dei cornuti non avevano una struttura organizzativa portante, e soprattutto mancava quasi del tutto un'ufficialità liturgica.
Caratteristica dell'11 di novembre è proprio la corsa dei cornuti: schiere di mariti traditi si sfidavano in una gara podistica, dove chi vinceva era considerato il più cornuto di tutti.
Il più delle volte, le competizioni erano soltanto immaginate: in Romagna si diceva che i cornuti andassero in a fare la gara in sogno, mentre il loro corpo rimaneva a letto. Oppure erano evocate nei racconti e nei motteggi: si parlava di una corsa di cornuti che si sarebbe svolta in un borgo vicino, mentre si sfotteva qualche compaesano dicendogli che sarebbe stato sicuramente il vincitore. Spesso questi scherzi erano presi sul serio da qualcuno permaloso e finivano in rissa, come raccontano i giornali dell'epoca.
In Romagna c'era l'usanza dello charivari: un ritrovo schiamazzante di giovani sotto le finestre del presunto cornuto, per canzonarlo ricordandogli la sua condizione.
Molto frequenti erano anche le processioni in onore dei coniugi traditi: In Umbria, a S. Vito, la sfilata, alla quale partecipavano tutti i maschi del paese, era aperta da un palco ornato di corna di bue mentre a Boschi, sempre in Umbria, ad aprire la processione era il primo sposo dell'anno.
I Cornuti a Ruviano
A Tocco Casauria, in Abruzzo, è lo stesso S. Martino a sfilare a cavallo per le vie, abbigliato con mitra e cappa, accompagnato da un demonietto tentatore che regge come lucerna una zucca intagliata cui sono stati applicati due peperoncini a mo' di corna, mentre un gruppo di ragazzi schiamazza sotto le finestre dei presunti cornuti. Una grande festa si tiene ancora oggi a Ruviano in provincia di Caserta, dove esiste una confraternita di Cornuti che sfila per il paese l'11 di novembre.
Nella festa di S. Martino, che è a tutti gli effetti un capodanno (nella società contadina segnava il passaggio da un anno agricolo all'altro quando iniziavano le attività dei tribunali, scadevano si fitti e si traslocava, tanto che ancora oggi nelle campagne si dice “fare S. Martino” per indicare il trasloco) confluiscono parecchi elementi come le zucche, gli scherzi e i giovani mascherati e invadenti che sono presenti nella più moderna festa di Halloween.
Martino, santo di “cesura” grazie all'iconografia ufficiale che lo vede tagliare il suo mantello per donarne metà ad un povero, ben si adatta alle celebrazioni stagionali di inizio novembre. I giorni della sua festa erano considerati un vero e proprio taglio nel tempo, momento di passaggio dalla stagione calda a quella fredda e buia, quasi una sospensione del fluire cronologico quando anche le condizioni meteorologiche sembrano subire una battuta d'arresto: con l'estate di San Martino l'inverno incipiente rallenta il suo passo, regalandoci ancora qualche giornata serena e tiepida.
Oltre a quello notissimo del mantello, molti episodi della vita di Martino rimandano alla divisione, soprattutto tra uomini e donne. Il corpus agiografico ufficiale mostra il vescovo di Tours fiero censore della promiscuità sessuale, tanto da lodare una vergine che, ritiratasi in eremitaggio per sfuggire gli sguardi maschili, rifiutò di mostrarsi   persino a lui stesso.
Il patronato sui cornuti invece, tipico della tradizione italiana (solo in Italia le corna alludono prevalentemente al coniuge tradito) è surrogato da parecchie leggende popolari. Nella tradizione orale, circolavano gustosi aneddoti su un Martino ottuso, “cornificato” dalla moglie, dalla figlia o dalla sorella che fuggono alla sua occhiuta sorveglianza, per incontrare l'amante.
Molte sono le ipotesi sull'origine di questa curiosa associazione. Comunemente si associa la festa di San Martino alle fiere di bestiame, per lo più con le corna, come buoi e capri, che si tenevano agli inizi di novembre. Oppure potrebbe trattarsi di  una cristianizzazione di riti pagani: il nome Martino deriva da Marte e parrebbe alludere ai suoi amori adulterini con Venere, ma in questo caso non si capisce perché venga associato al coniuge ingannato, dato che Marte ingannò lo storpio Vulcano rubandogli i favori della dea dell'amore. Testimonianze orali azzardano anche l'ipotesi che la data in cui si festeggia il santo, ossia l' 11.11 nella sua grafia ricordi proprio un paio di corna.
Quella delle corna con San Martino è un'associazione molto nota nella quotidianità, tanto che in Toscana si chiamano Martinacci dei grossi lumaconi cornuti, mentre Giovan Battista Basile, nei suoi Cunti, chiama martino il caprone. Anche in Germania, dove come detto sopra, “cornuto” non significa necessariamente “tradito dalla moglie” a novembre, si regalano ai bambini dolcetti a forma di cornetto chiamati Corna di S. Martino.
La tradizione agiografica ufficiale, veicolata dalla chiesa attraverso exempla, ossia racconti di episodi della vita del santo, mostra spesso Martino, che in vita si era distinto come esorcista, combattere contro il demonio. Anche qui è fondamentale il riferimento alle corna, benché non collegate all'adulterio: Sulpicio Severo, suo contemporaneo e biografo “ufficiale”, afferma che il diavolo affrontò il santo brandendo un corno di bue, mentre Venanzio Fortunato, vissuto nel VI secolo, lo descrive mentre affronta una giovenca indemoniata, che tenta più volte di incornarlo.
Si ricordi poi che il corno di bue fu per molto tempo un recipiente usato per contenere il vino, elemento collegato alla festa di San Martino, che veniva appeso sulle porte dell'osteria nell'Alto Lazio, mentre, anche nelle zone della Romagna, dove per indicare il marito beffato si usa il termine “becco”, riferito al caprone, gli elementi rituali del periodo sono collegati alle corna di bue.
Resta il fatto che, prima dell'urbanizzazione, anche se non a livello ufficiale, la festa era parecchio sentita: secondo alcuni interpreti tutti dovevano festeggiare, perché, per il solo fatto di essere sposati, erano considerati cornuti, uomini e donne in un'insolita parità.
Per la maggior parte degli studiosi di folklore, invece, l'inizio di novembre, che coincide con l'antico capodanno celtico, il Samahin, era un periodo fuori dal tempo, quando prima di iniziare un nuovo ciclo bisognava purificarsi per mantenere ben salda la coesione sociale.
I “peccati” della società venivano a galla e i morti, impersonati dai ragazzi partecipanti allo charivari che, in alcune tradizioni erano mascherati, non facevano altro che punire, nei giorni della semina e quindi della fecondità, i malcapitati con le loro maldicenze. Lo charivari, ossia la gazzarra, che si faceva di solito sotto le finestre di coppie ritenute “irregolari” come quelle che, sposandosi in età avanzata, non potevano garantire una discendenza alla collettività, oppure di coloro che si risposavano dopo la vedovanza, rei di “inquinare” il seme familiare, prendeva di mira i cornuti che non sapevano arginare l'esuberanza delle mogli. Ad essere sbeffeggiate, non erano però le donne adultere, che potevano comunque generare e quindi assolvere alla loro funzione sociale, ma i mariti, rei di non essere abbastanza virili da controllare la fisicità delle compagne.
Nelle storielle popolari che raccontano di un San Martino cornificato, un tratto comune è l'inganno perpetrato dalla donna che, con la scusa di espletare un urgente bisogno fisiologico, elude la sua sorveglianza e incontra l'amante. Martino, coraggioso vincitore sul demonio, in questi racconti, perde la sua aura sacra e si fa beffare dalla donna, sia essa la moglie, la figlia o la sorella. Condivide quindi il destino degli uomini che, benché virili ed in grado di condurre eserciti e comandare città e nazioni, non riescono a controllare la sessualità femminile.



e poi...

G. Baronti. Il buon uso dei santi, Argo, Lecce 2005
E. Baldini. G. Bellosi, Halloween. Nel giorno che i morti ritornano, Einaudi, Torino 2006
A. Cattabiani. Santi d'Italia,BUR, Milano 2004

http://www.acrcornuti.it/index.php/component/content/category/9-cornuti-ruvianesi










giovedì 25 ottobre 2012

Acrostico d'ottobre

Caravaggio, Natura morta




Ore barocche di brividi e

Tempo dorato che annaspa tra

Tazze di the. 


Ormai il giorno e' stanco. 

Butta alle spalle il sole che muore 

Raccogli le briciole sul bordo del piatto 



E allora via, di corsa col botolo !

domenica 14 ottobre 2012

ottobre

Ciclo dei mesi di Torre Aquila - Ottobre





L'iconografia di ottobre proviene dal ciclo dei mesi di Torre Aquila del Castello del Buonconsiglio a Trento.
Il castello del Buonconsiglio è una delle più importanti fortificazioni alpine: sorto sui resti di un antico castrum romano, fu, dall'età medievale al periodo napoleonico,residenza dei principi vescovi.
Il nucleo originale, che risale al 1200, venne pesantemente rimaneggiato nel 1400, con l'aggiunta del Magno Palazzo verso meridione, che fu collegato alla parte medievale in età barocca. Con la fine del potere dei principi vescovi e annessione del principato alla contea del Tirolo, il castello perse la sua importanza per diventare sede di rappresentanza.
La Torre Aquila, situata all'estremità meridionale, risale al XIII secolo. Fu pesantemente rimaneggiata dal principe vescovo Giorgio di Lichtestein, che la fece sopraelevare e commissionò gli affreschi con il ciclo dei mesi della sala al secondo piano.
Gli undici riquadri (il mese di marzo è andato perduto in un incendio) che sono uno dei maggiori esempi di gotico internazionale in Italia, rappresentano sia scene di vita di corte e del mondo contadino. L'attenzione ai particolari delle vesti, degli arnesi agricoli e della botanica, fa di questo ciclo un documento fotografico del tempo.
Non si conosce con certezza il nome dell'autore. La tradizione lo identifica, per lo stile con paesaggi poco profondi costellati di spuntoni rocciosi e dai colori irreali che rimanda alle miniature boeme, con un maestro Wenceslao, artista boemo documentato a Trento agli inizi del Quattrocento. L'interesse e la cura nel rendere gli elementi botanici fa ipotizzare anche una consultazione dei tacuini sanitatis, manuali medicina che, allo scopo di fornire nozioni sulle proprietà curative delle piante, le ritraevano con miniature ricche di particolari.
Ottobre non ha celebrazioni particolari in quanto la liturgia cattolica non prevede solennità, ma solo feste di santi. Nel mondo contadino è il mese della fine della vendemmia e quindi ricco di tradizioni e ricorrenze legate al mondo del vino.
Il vino era molto importante nell'economia e nella cultura tridentina, tanto che il vitigno era sempre collegato ad un castello. Nel medioevo e nel rinascimento, alla fine della vendemmia si usava dare feste grandi e sfarzose, come quella promossa dal principe vescovo Bernardino Clesio che, nel 500, addirittura fece collegare le sue cantine alla fontana della piazza principale che gettò vino per una giornata intera.
Al Buonconsiglio nel pannello di ottobre, sono rappresentati contadini che trasportano l'uva, altri che pigiano mentre il signore assaggia il mosto. Gli attrezzi agricoli sono resi con estrema cura, tanto che potremmo dire di trovarci di fronte ad un vero trattato di falegnameria e artigianato.
Fin dall'antichità ed in ogni cultura, il vino non fu una semplice bevanda, ma ebbe sempre un legame privilegiato con la religione, la spiritualità, l'altro da sé.
È l'estasi che conduce al divino, bella e terribile, sublime ma pericolosa. Non a caso, nella tradizione islamica, dove il consumo delle bevande alcoliche è vietato, il poeta Ibn Al Fahrid, loda il vino che conduce alle alte vette del misticismo, mentre il Corano, parla di Vino raro che berranno i giusti nell'aldilà.
Il vino non nacque in Grecia, ma fu importato da Creta e si diffuse poi in tutto il bacino del mediterraneo, fino a giungere in Inghilterra attraverso la via dell'Ambra.
Dioniso, dio dell'ebbrezza, è anche il dio che muore e risorge. Il suo culto, nato a Creta fu dapprima legato ai miti della Grande Madre, così come avvenne in tutto il vicino oriente: si pensi alla Madre Vite venerata dai Sumeri.
Figlio di Zeus e Semele (identificata con la Luna), Dioniso morì una prima volta quando la madre, istigata dalla gelosa Era, finì incenerita per aver voluto contemplare il padre degli dei in tutto il suo splendore divino. L'intervento di Ermes, che lo cucì nella coscia di Zeus nell'attesa che si compisse il tempo di una nuova nascita, è un chiaro riferimento alla fine dei culti matriarcali.
Nato due volte era detto Dioniso, e un'altra volta morì per mano dei titani che, sempre istigati da Era, lo smembrarono per cuocerlo in un tripode. Secondo una tradizione, Rea, la madre terra e “nonna” di Dioniso, lo resuscitò dopo averne ricomposte le membra, mentre secondo un'altra vulgata, dalle sue ceneri seminate, nacque la vite.
Il culto del vino, diffuso in tutto il bacino del mediterraneo, non poteva essere assente in Palestina: si pensi a come la festa ebraica dei Tabernacoli, fosse agli inizi una festa dionisiaca, o allo stesso Cristo che diceva di se stesso: “Io sono la vite”.
Nella Bibbia abbondano i riferimenti alla vite e al Vino, tramite tra l'umano e la divinità.
L'episodio di Noè, che, scoperto nudo e ubriaco dal figlio Cam, lo punisce perché si era burlato di lui additandolo ai due fratelli, mentre premia questi ultimi che lo ricoprirono rifiutandosi di guardarlo, è una chiara allusione all'estasi e alla contemplazione divina, che non tutti sono in grado di capire o di reggere. Ma se nell'Antico Testamento la vite è soltanto una prefigurazione del Cristo (gli esploratori inviati da Noè ritornarono portando un grappolo d'uva su un legno, chiara allusione alla crocifissione), nel Nuovo Testamento la vite è il Cristo stesso. Gesù dice agli uomini: Io sono la vite, voi i tralci, ossia gli uomini partecipano al divino pur senza essere essi stessi divini, come il tralcio che fruttifica ma, se staccato dalla vite, è destinato a seccare. E il succo della vite, il suo sangue, diventa sangue divino nell'Ultima Cena: per i credenti infatti il pane e il vino dell'Eucaristia non sono solo un simbolo o un ricordo, ma sono veramente il corpo e il sangue di Cristo.
Per tornare al nostro mese di ottobre, quale santa poteva essere ricordata dalla Chiesa, se non proprio Teresa d'Avila, la santa dell'estasi come ebbrezza che porta a trascendere i limiti umani per ricongiungersi con il divino?



e poi...
A. Cattabiani, Erbario. Rusconi 1994
A. Cattabiani, Calendario, Mondadori 2002
K. Kerényi, Dioniso, Adelphi, 1992

sabato 6 ottobre 2012

HOROLOGE, il Senso del Tempo

Roma Signer, Horologe - settembre 2012




È l'installazione Horologe dell'artista svizzero Roman Signer. Si trova in Piemonte a Trivero in provincia di Biella, nei pressi del Lanificio Zegna. Ad ispirare l'artista è stato proprio il vapore che esce dalla ciminiera della fabbrica.
L'orologio, alto quattro metri, che ricorda i grandi orologi stradali, non ha lancette ma emette, ogni quarto d'ora, uno sbuffo di vapore, che come lo gnomone di una di meridiana, proietta l'ombra sul quadrante.
Il tempo è evanescente: un getto di vapore che ti coglie all'improvviso e ti sorprende, non essendo mai uguale a se stesso. Qui il momento prende corpo: si può vedere, sentire, toccare. È parte della vita, del lavoro e del paesaggio industriale, come il rintocco delle campane che ritmava le giornate e le attività contadine.
Un tempo fisico ed  incorporeo; un tempo che  è matematico, inesorabile ma che, per comprenderne  e viverne a fondo l'essenza, esige  si colga l'occasione. È Cronos che diventa Kairos


martedì 2 ottobre 2012

l'arcangelo Michele e Mitra


Raffaello, San Michele e il drago


Il 29 settembre si festeggia l'arcangelo Michele, patrono della Polizia di stato e di tutti coloro che, nei loro mestieri, usano spade o bilance, quindi degli armaioli e dei commercianti.

Michele è, insieme a Raffaele e Gabriele, uno dei tre arcangeli riconosciuti dalla Chiesa. In realtà, la Bibbia, nel libro di Tobia, parla di sette arcangeli e  così pure altri  testi, soprattutto della tradizione orientale. Gli arcangeli, rappresentati con ali d'aquila (la tradizione di raffigurare angeli e arcangeli alati era però rifiutata dai cristiani delle origini, per evitare si confondessero con divinità pagane alate, tipo Nike) grado supremo della gerarchia angelica erano, come dice il loro nome (dal greco anghelos che significa nunzio) i messaggeri della volontà divina. Michele è sempre stato identificato come il capo della milizia angelica e il suo culto, molto popolare nella chiesa orientale, si diffuse in occidente a partire dall'alto medioevo.
I santuari dedicati all'Arcangelo, i Michaelion, erano spesso ricavati all'interno di grotte. Probabilmente si trattava di una cristianizzazione di Mitrei, luoghi di culto dedicati a Mitra, una divinità indoiranica della luce, assimilata in seguito a Mercurio e al Sole Invitto. La religione mitraica, un culto misterico diffuso principalmente in ambito militare, ebbe molta fortuna nell'impero romano a partire dal II secolo dopo Cristo; seguito soprattutto dall'aristocrazia (anche gli imperatori Nerone e Giuliano ne furono adepti) fu scalzato dal cristianesimo, col quale presenta tra l'altro parecchie analogie, che era aperto anche al popolo e alle donne, rigorosamente escluse dal culto mitraico.
Ariccia, Mitreo Marino. Mitra uccide il Toro
Mitra presiedeva agli equinozi, periodi di passaggio dal semestre luminoso a quello buio e viceversa, come testimonia l'immagine dei due portatori di fiaccola che affiancano il dio: Cautes, con la torcia rivolta verso l'alto, a ricordare la primavera mentre Cautopates con la fiaccola abbassata e l'espressione triste annuncia l'autunno e l'inizio del semestre buio.
Michele, fin dalle origini, è stato festeggiato il 29 settembre, pochi giorni dopo l'equinozio autunnale poi, con l'ultima riforma liturgica negli anni settanta gli sono stati affiancati anche gli altri due arcangeli: Raffaele e Gabriele.
Ma torniamo all'arcangelo Michele e ai suoi luoghi di culto all'interno di  grotte: la più famosa e forse antica in Italia è quella di Siponto in Puglia,  sul Gargano. La leggenda narra che il signore del luogo Elvio Emanuele, inseguendo un toro, gli scagliò contro una freccia, che ritornò indietro ferendolo. Il vescovo, san Lorenzo Maiorano, venuto a conoscenza del fatto, dopo tre giorni di digiuno ebbe in sogno la visione di san Michele Arcangelo, che gli rivelò come la caverna fosse a lui consacrata. Sempre grazie all'aiuto dell'arcangelo Michele, i Sipontini sconfissero l'esercito di Odoacre. Il culto di Michele, grazie ai Longobardi, si diffuse in tutta Italia fino a Pavia, capitale del regno.
Un'altra leggenda parla di un toro e di san Michele: l'arcangelo apparve in sogno a sant' Auberto, vescovo di Avranches, sulla costa normanna e gli ordinò di costruire una chiesa dove avrebbe trovato un toro che era stato nascosto tra le rocce dopo un furto. Venne così edificato il santuario di Mont Saint Michel au Péril de Mer, la la famosa chiesa su un'isola che, durante la bassa marea, è collegata alla costa da una sottile lingua di terra.
Altre sono le analogie tra l'Arcangelo Michele il dio Mitra: nella Bibbia Michele, il cui nome deriva dall'ebraico Mika el, ossia il grido di battaglia “chi è come Dio?” viene in aiuto a Daniele e vigila sui giudei perseguitati da Antioco. Michele è anche uno degli angeli che combatte il drago nell'Apocalisse ed è spesso rappresentato oltre, che con la spada, con la clamide purpurea, colore legato al Sole.
Verschaffelt, San Michele sopra Castel S. Angelo
La statua di Castel Sant'Angelo a Roma, opera settecentesca di Verschaffelt, lo raffigura nell'atto di rinfoderare la spada, a ricordare che la giustizia divina è terribile ma sa essere anche misericordiosa. E, sopra il mausoleo di Adriano, stava la chiesa di San Michele inter nubes oggi purtroppo scomparsa, fatta costruire  a proprio a forma di grotta da papa Bonifacio IV nel VII secolo, dopo che,  una visione dell'arcangelo che riponeva la spada annunciò ai romani la fine della pestilenza.
Spesso S. Michele è raffigurato con un globo in mano, a ricordare la sua funzione di creatore del Cosmo, come fece Mitra che, uccidendo il Toro, diede origine al processo di creazione.
L.Signorelli, S. Michele pesa le anime. Duomo di Orvieto
Un'altra funzione attribuita dalla tradizione a Michele è quella di psicopompo, ossia guida delle anime nel loro passaggio all'aldilà e spesso viene raffigurato nell'atto di pesarle, per decretare il loro destino eterno (psicostasia), un compito che, nell'antichità, spettava a Hermes- Mercurio. In Germania e in Francia, dove si diffuse il culto di San Michele Arcangelo, grazie soprattutto ai monaci celti, le chiese in suo onore erano spesso edificate su precedenti templi di Mercurio, come i santuari di Mont Saint Michel Mercure in Vandea o Badgodesberg (in tedesco Montagna del dio) presso Bonn.
Il Dictionnaire d'Archéologie Chrétienne et de Liturgie, riproduce un'antica gemma dove Mercurio è raffigurato accanto alla scritta Michaél, mentre, nel Duomo di Orvieto, Signorelli raffigura  Michele,che indossa un copricapo alato, attributo di Mercurio nell'atto della psicostasia. 
Ora, divagando un po', il 29 settembre non cade forse sotto il segno della Bilancia, secondo l'astrologia tempo dell'esaltazione di Saturno, pianeta della giustizia e della contemplazione, che invita a spogliarsi dell'umano, della materia per raggiungere il divino? Saturno – Cronos presiede anche l'ultimo grado di iniziazione ai misteri di Mitra ed è raffigurato su un globo, con ali d'aquila e testa leonina, simbolo del Sole eterno, del Tempo senza tempo.


e poi...
A. Cattabiani. Simboli, miti e misteri di Roma, Newton Compton, 1990
A. Cattabiani. Santi d'Italia,  Bur, 2004
L'universale, la grande enciclopedia tematica - antichità classica,  Garzanti libri, 2004
L'universale, la grande enciclopedia tematica - simboli,  Garzanti libri, 2004
http://www.disinformazione.it/equinozio_autunno.htm
http://www.sul-gargano.it/la-montagna-sacra.php