domenica 14 ottobre 2012

ottobre

Ciclo dei mesi di Torre Aquila - Ottobre





L'iconografia di ottobre proviene dal ciclo dei mesi di Torre Aquila del Castello del Buonconsiglio a Trento.
Il castello del Buonconsiglio è una delle più importanti fortificazioni alpine: sorto sui resti di un antico castrum romano, fu, dall'età medievale al periodo napoleonico,residenza dei principi vescovi.
Il nucleo originale, che risale al 1200, venne pesantemente rimaneggiato nel 1400, con l'aggiunta del Magno Palazzo verso meridione, che fu collegato alla parte medievale in età barocca. Con la fine del potere dei principi vescovi e annessione del principato alla contea del Tirolo, il castello perse la sua importanza per diventare sede di rappresentanza.
La Torre Aquila, situata all'estremità meridionale, risale al XIII secolo. Fu pesantemente rimaneggiata dal principe vescovo Giorgio di Lichtestein, che la fece sopraelevare e commissionò gli affreschi con il ciclo dei mesi della sala al secondo piano.
Gli undici riquadri (il mese di marzo è andato perduto in un incendio) che sono uno dei maggiori esempi di gotico internazionale in Italia, rappresentano sia scene di vita di corte e del mondo contadino. L'attenzione ai particolari delle vesti, degli arnesi agricoli e della botanica, fa di questo ciclo un documento fotografico del tempo.
Non si conosce con certezza il nome dell'autore. La tradizione lo identifica, per lo stile con paesaggi poco profondi costellati di spuntoni rocciosi e dai colori irreali che rimanda alle miniature boeme, con un maestro Wenceslao, artista boemo documentato a Trento agli inizi del Quattrocento. L'interesse e la cura nel rendere gli elementi botanici fa ipotizzare anche una consultazione dei tacuini sanitatis, manuali medicina che, allo scopo di fornire nozioni sulle proprietà curative delle piante, le ritraevano con miniature ricche di particolari.
Ottobre non ha celebrazioni particolari in quanto la liturgia cattolica non prevede solennità, ma solo feste di santi. Nel mondo contadino è il mese della fine della vendemmia e quindi ricco di tradizioni e ricorrenze legate al mondo del vino.
Il vino era molto importante nell'economia e nella cultura tridentina, tanto che il vitigno era sempre collegato ad un castello. Nel medioevo e nel rinascimento, alla fine della vendemmia si usava dare feste grandi e sfarzose, come quella promossa dal principe vescovo Bernardino Clesio che, nel 500, addirittura fece collegare le sue cantine alla fontana della piazza principale che gettò vino per una giornata intera.
Al Buonconsiglio nel pannello di ottobre, sono rappresentati contadini che trasportano l'uva, altri che pigiano mentre il signore assaggia il mosto. Gli attrezzi agricoli sono resi con estrema cura, tanto che potremmo dire di trovarci di fronte ad un vero trattato di falegnameria e artigianato.
Fin dall'antichità ed in ogni cultura, il vino non fu una semplice bevanda, ma ebbe sempre un legame privilegiato con la religione, la spiritualità, l'altro da sé.
È l'estasi che conduce al divino, bella e terribile, sublime ma pericolosa. Non a caso, nella tradizione islamica, dove il consumo delle bevande alcoliche è vietato, il poeta Ibn Al Fahrid, loda il vino che conduce alle alte vette del misticismo, mentre il Corano, parla di Vino raro che berranno i giusti nell'aldilà.
Il vino non nacque in Grecia, ma fu importato da Creta e si diffuse poi in tutto il bacino del mediterraneo, fino a giungere in Inghilterra attraverso la via dell'Ambra.
Dioniso, dio dell'ebbrezza, è anche il dio che muore e risorge. Il suo culto, nato a Creta fu dapprima legato ai miti della Grande Madre, così come avvenne in tutto il vicino oriente: si pensi alla Madre Vite venerata dai Sumeri.
Figlio di Zeus e Semele (identificata con la Luna), Dioniso morì una prima volta quando la madre, istigata dalla gelosa Era, finì incenerita per aver voluto contemplare il padre degli dei in tutto il suo splendore divino. L'intervento di Ermes, che lo cucì nella coscia di Zeus nell'attesa che si compisse il tempo di una nuova nascita, è un chiaro riferimento alla fine dei culti matriarcali.
Nato due volte era detto Dioniso, e un'altra volta morì per mano dei titani che, sempre istigati da Era, lo smembrarono per cuocerlo in un tripode. Secondo una tradizione, Rea, la madre terra e “nonna” di Dioniso, lo resuscitò dopo averne ricomposte le membra, mentre secondo un'altra vulgata, dalle sue ceneri seminate, nacque la vite.
Il culto del vino, diffuso in tutto il bacino del mediterraneo, non poteva essere assente in Palestina: si pensi a come la festa ebraica dei Tabernacoli, fosse agli inizi una festa dionisiaca, o allo stesso Cristo che diceva di se stesso: “Io sono la vite”.
Nella Bibbia abbondano i riferimenti alla vite e al Vino, tramite tra l'umano e la divinità.
L'episodio di Noè, che, scoperto nudo e ubriaco dal figlio Cam, lo punisce perché si era burlato di lui additandolo ai due fratelli, mentre premia questi ultimi che lo ricoprirono rifiutandosi di guardarlo, è una chiara allusione all'estasi e alla contemplazione divina, che non tutti sono in grado di capire o di reggere. Ma se nell'Antico Testamento la vite è soltanto una prefigurazione del Cristo (gli esploratori inviati da Noè ritornarono portando un grappolo d'uva su un legno, chiara allusione alla crocifissione), nel Nuovo Testamento la vite è il Cristo stesso. Gesù dice agli uomini: Io sono la vite, voi i tralci, ossia gli uomini partecipano al divino pur senza essere essi stessi divini, come il tralcio che fruttifica ma, se staccato dalla vite, è destinato a seccare. E il succo della vite, il suo sangue, diventa sangue divino nell'Ultima Cena: per i credenti infatti il pane e il vino dell'Eucaristia non sono solo un simbolo o un ricordo, ma sono veramente il corpo e il sangue di Cristo.
Per tornare al nostro mese di ottobre, quale santa poteva essere ricordata dalla Chiesa, se non proprio Teresa d'Avila, la santa dell'estasi come ebbrezza che porta a trascendere i limiti umani per ricongiungersi con il divino?



e poi...
A. Cattabiani, Erbario. Rusconi 1994
A. Cattabiani, Calendario, Mondadori 2002
K. Kerényi, Dioniso, Adelphi, 1992

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