giovedì 29 novembre 2012

Il Senso del Tempo n.2 - UROBORO






È il tempo che rinasce mangiando se stesso e  si rinnova ciclicamente. Un simbolo che pare pensato per la fine di novembre, mese di chiusura e di inizio di un nuovo ciclo.
Sulla frontiera tra una stagione agricola e l'altra, i celti festeggiavano il Samhain, il capodanno tra il 31 ottobre e il 1 novembre; nei dodici giorni successivi, tempo fuori dal tempo, quando tutto si rimescola in una morte simbolica che annuncia una rinascita, nelle nostre campagne si aprivano le porte di comunicazione con l'aldilà. Pure la liturgia cattolica chiude l'anno con la festa di Cristo Re che cade, di solito, nell'ultima settimana di novembre, per aprirlo con l'avvento la domenica successiva.
L'Uroboro, il serpente che si morde la coda, è conosciuto in tutte le civiltà euro asiatiche come immagine della continuità cosmica, dei cicli che si rinnovano creando l'eternità.
Come il serpente, che si credeva ringiovanisse mutando pelle, così l'anno rinasce: la bocca del serpente mangia la su stessa coda, l'ultimo mese dell'anno si ricollega al primo del successivo. La stessa parola latina annus ha origine dalla particella an, che significa intorno, a simboleggiare proprio la forma circolare tempo e Crono, che del Tempo è signore, regge un Uroboro nella mano sinistra.
Gafurius, Musica delle sfere
Nei testi ermetici greci rappresenta l'alterna vittoria della vita e della morte, mentre, per la simbologia cristiana, che lo raffigura con al centro una croce o un'ancora, è immagine del cosmo che riceve vita e significato dal Cristo.
Anche il musicista rinascimentale Gafurius, illustrando la musica delle sfere, rappresenta un lungo serpente che attraversa l'universo: ha la testa sulla terra e la coda finisce nella sfera più alta, sotto i piedi del dio Apollo e delle muse disegnando un cerchio. Il Tempo, spartito dell'universo ha le sue radici nell'eternità.
Uroboro alchemico
L'Uroboro è anche un simbolo alchemico: rappresenta un processo ciclico di riscaldamento, evaporazione, raffreddamento, condensazione e di nuovo evaporazione della materia, tanto che spesso è raffigurato come un serpente che che morde la coda del drago alato sopra di lui.
E per finire Gabriele d'Annunzio, molto attento al valore simbolico delle immagini scelse proprio un Uroboro come emblema della Reggenza del Carnaro: l'impresa di Fiume infatti, sebbene finita nel tempo storico, continua a vivere come Tempo dell'anima.


e poi...
L'Universale, la grande Enciclopedia Tematica, Simboli, Garzanti 2004
E. Wind. Misteri pagani nel Rinascimento, Gli Adelphi, 2012
A. Cattabiani, M. Cepeda Fuentes. Bestiario di Roma, Newton Compton, 1996


domenica 25 novembre 2012

B. Antelami. Novembre, Battistero di Parma, Ciclo dei mesi


Per il mese di Novembre andiamo al battistero di Parma, a vedere il ciclo dei mesi di Benedetto Antelami. Dello scultore, vissuto a cavallo tra il XII e il XIII secolo, si conoscono pochi dati: probabilmente fu originario della Valle d'Intelvi, in Lombardia e lavorò soprattutto a Parma, ma dall'analisi delle opere si può dedurre che conoscesse la scultura francese.
Fu architetto del Battistero di Parma e artefice delle decorazione che iniziò, come si può leggere su una lapide nel 1196.
Il ciclo dei mesi è composto di dodici altorilievi che rappresentano uomini intenti alle attività stagionali, affiancati dei rispettivi segni zodiacali. Altre due statue raffigurano le stagioni inverno e primavera. L' autunno e l' estate sono andate perdute.
Gli studiosi si dividono sulla originaria collocazione dell'opera: secondo la Frugoni le statue dovevano essere collocate all'interno: su ognuno dei 16 lati avrebbero trovato posto i dodici mesi più le quattro stagioni. Secondo il Quintavalle invece, provengono da un portale dei mesi originariamente progettato e mai attuato. Il segno è lineare e raffinato, ma le scene sono rese con naturalezza e attenzione ai particolari.
Le figure iniziano con il mese di marzo quando anticamente cadeva il Capodanno e invecchiano man mano che si prosegue, mese dopo mese.
Gennaio è raffigurato anziano, ma ha dietro la testa una seconda faccia più giovane: un' immagine di Giano,il dio che governava tutti i passaggi, anche quelli da un anno all'altro. Come già detto nel post su settembre, durante il medioevo era tipico rappresentare i mesi attraverso i lavori agricoli: il lavoro contadino, lungi dall'essere disprezzato, era un'occasione per inserire la salvezza dell'uomo attraverso la quotidianità del tempo e dello spazio.
Novembre è raffigurato come un anziano contadino intento a raccogliere le rape.
È un'iconografia piuttosto insolita: generalmente a questo mese si associava la macellazione del maiale. Anche nella cattedrale di Ferrara, dove è presente un ciclo dei mesi, a rappresentare novembre c'è un raccoglitore di rape.
La rapa , o Brassica campestris, era nel medioevo un alimento semplice e molto diffuso ma al contempo nutriente e dalle molte proprietà. La loro raccolta simboleggiava la sapienza e la virtù che si possono trovare nella vita semplice, fra gli umili.
Era anche simbolo di rinascita.
Jack o'Lantern, il furbo peccatore che, per aver osato ingannare il diavolo, fu condannato a vagare per l'eternità e che si ricorda nella notte di Halloween, porta la lucerna dentro una zucca. Ma non è sempre stato così: originariamente, il disperato Jack aveva costruito la sua lucerna dentro una rapa cava, poi, quando la leggenda fu “esportata” negli Stati Uniti, vista l'abbondanza di zucche nel nuovo mondo, fu sostituita appunto dalla zucca.

 

giovedì 22 novembre 2012

Martino di Tours patrono dei cornuti


Il santo di novembre è senza dubbio Martino, vescovo di Tours e patrono di Belluno, festeggiato l'undici del mese. Martino nacque in Pannonia, nell'odierna Ungheria nel 316 o 317, educato al paganesimo intraprese, come il padre, la carriera militare. Rimase però affascinato dalla religione cristiana, e, dopo la conversione, lasciò l'esercito e si ritirò a vita eremitica a Ligugè nei pressi di Poitiers. Eletto nel 371, suo malgrado, vescovo di Tours, continuò a preferire la vita contemplativa, tanto da andare ad abitare in una piccola casa poco distante dall'episcopato dove fondò il monastero di Marmoutier, uno dei più antichi d'Europa.
Martino attraversava le campagne per evangelizzare e il suo vigore nel combattere i culti pagani è testimoniato da parecchi episodi leggendari, che lo vedono abbattere i simboli dell'antica religione, o intraprendere cruenti duelli contro il demonio. La sua popolarità fu grandissima, accresciuta anche da poteri taumaturgici, tanto che, dopo la morte, a Tours, sul luogo della sepoltura, venne eretta una chiesa che divenne uno dei più importanti centri di pellegrinaggio europei.
Sia la tradizione agiografica ufficiale, che la letteratura popolare sono ricche di storie e aneddoti destinati ad alimentare la fervida fantasia dei fedeli; nel XV secolo di diffusero i Martiniadi, compilazioni di racconti sulla vita del santo in onore del quale vennero composti anche canti in volgare.
La grande notorietà di S. Martino ha fatto si che la tradizione letteraria e la cultura popolare, lungi dall'essere comparti asettici dialogassero e si influenzassero tra loro, così che, nei giorni della sua festa, si fondono elementi agiografici, reminiscenze di culti pagani e tradizioni calendariali.
San Martino è tradizionalmente ritenuto patrono di molte categorie come i Fanti, i mendicanti e i sommelier, ma curiosamente nell'Italia centrale è soprattutto il protettore dei cornuti.
In Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Umbria, nella capitale, fino in Campania, l'11 novembre si tengono processioni e feste in onore dei coniugi traditi. In Umbria c'è addirittura uno sdoppiamento della festa: l'11 si festeggiano gli uomini mentre il 12 è la vota delle donne cornute; probabilmente a causa del vecchio calendario liturgico che, il 12 di novembre, ricordava un santo omonimo: Martino I papa.
Quella di San Martino era una festa che non aveva i requisiti dell'ufficialità: testimoni raccontano di come ci si riunisse “informalmente” tra amici e parenti per consumare vino e castagne; le corse e le processioni dei cornuti non avevano una struttura organizzativa portante, e soprattutto mancava quasi del tutto un'ufficialità liturgica.
Caratteristica dell'11 di novembre è proprio la corsa dei cornuti: schiere di mariti traditi si sfidavano in una gara podistica, dove chi vinceva era considerato il più cornuto di tutti.
Il più delle volte, le competizioni erano soltanto immaginate: in Romagna si diceva che i cornuti andassero in a fare la gara in sogno, mentre il loro corpo rimaneva a letto. Oppure erano evocate nei racconti e nei motteggi: si parlava di una corsa di cornuti che si sarebbe svolta in un borgo vicino, mentre si sfotteva qualche compaesano dicendogli che sarebbe stato sicuramente il vincitore. Spesso questi scherzi erano presi sul serio da qualcuno permaloso e finivano in rissa, come raccontano i giornali dell'epoca.
In Romagna c'era l'usanza dello charivari: un ritrovo schiamazzante di giovani sotto le finestre del presunto cornuto, per canzonarlo ricordandogli la sua condizione.
Molto frequenti erano anche le processioni in onore dei coniugi traditi: In Umbria, a S. Vito, la sfilata, alla quale partecipavano tutti i maschi del paese, era aperta da un palco ornato di corna di bue mentre a Boschi, sempre in Umbria, ad aprire la processione era il primo sposo dell'anno.
I Cornuti a Ruviano
A Tocco Casauria, in Abruzzo, è lo stesso S. Martino a sfilare a cavallo per le vie, abbigliato con mitra e cappa, accompagnato da un demonietto tentatore che regge come lucerna una zucca intagliata cui sono stati applicati due peperoncini a mo' di corna, mentre un gruppo di ragazzi schiamazza sotto le finestre dei presunti cornuti. Una grande festa si tiene ancora oggi a Ruviano in provincia di Caserta, dove esiste una confraternita di Cornuti che sfila per il paese l'11 di novembre.
Nella festa di S. Martino, che è a tutti gli effetti un capodanno (nella società contadina segnava il passaggio da un anno agricolo all'altro quando iniziavano le attività dei tribunali, scadevano si fitti e si traslocava, tanto che ancora oggi nelle campagne si dice “fare S. Martino” per indicare il trasloco) confluiscono parecchi elementi come le zucche, gli scherzi e i giovani mascherati e invadenti che sono presenti nella più moderna festa di Halloween.
Martino, santo di “cesura” grazie all'iconografia ufficiale che lo vede tagliare il suo mantello per donarne metà ad un povero, ben si adatta alle celebrazioni stagionali di inizio novembre. I giorni della sua festa erano considerati un vero e proprio taglio nel tempo, momento di passaggio dalla stagione calda a quella fredda e buia, quasi una sospensione del fluire cronologico quando anche le condizioni meteorologiche sembrano subire una battuta d'arresto: con l'estate di San Martino l'inverno incipiente rallenta il suo passo, regalandoci ancora qualche giornata serena e tiepida.
Oltre a quello notissimo del mantello, molti episodi della vita di Martino rimandano alla divisione, soprattutto tra uomini e donne. Il corpus agiografico ufficiale mostra il vescovo di Tours fiero censore della promiscuità sessuale, tanto da lodare una vergine che, ritiratasi in eremitaggio per sfuggire gli sguardi maschili, rifiutò di mostrarsi   persino a lui stesso.
Il patronato sui cornuti invece, tipico della tradizione italiana (solo in Italia le corna alludono prevalentemente al coniuge tradito) è surrogato da parecchie leggende popolari. Nella tradizione orale, circolavano gustosi aneddoti su un Martino ottuso, “cornificato” dalla moglie, dalla figlia o dalla sorella che fuggono alla sua occhiuta sorveglianza, per incontrare l'amante.
Molte sono le ipotesi sull'origine di questa curiosa associazione. Comunemente si associa la festa di San Martino alle fiere di bestiame, per lo più con le corna, come buoi e capri, che si tenevano agli inizi di novembre. Oppure potrebbe trattarsi di  una cristianizzazione di riti pagani: il nome Martino deriva da Marte e parrebbe alludere ai suoi amori adulterini con Venere, ma in questo caso non si capisce perché venga associato al coniuge ingannato, dato che Marte ingannò lo storpio Vulcano rubandogli i favori della dea dell'amore. Testimonianze orali azzardano anche l'ipotesi che la data in cui si festeggia il santo, ossia l' 11.11 nella sua grafia ricordi proprio un paio di corna.
Quella delle corna con San Martino è un'associazione molto nota nella quotidianità, tanto che in Toscana si chiamano Martinacci dei grossi lumaconi cornuti, mentre Giovan Battista Basile, nei suoi Cunti, chiama martino il caprone. Anche in Germania, dove come detto sopra, “cornuto” non significa necessariamente “tradito dalla moglie” a novembre, si regalano ai bambini dolcetti a forma di cornetto chiamati Corna di S. Martino.
La tradizione agiografica ufficiale, veicolata dalla chiesa attraverso exempla, ossia racconti di episodi della vita del santo, mostra spesso Martino, che in vita si era distinto come esorcista, combattere contro il demonio. Anche qui è fondamentale il riferimento alle corna, benché non collegate all'adulterio: Sulpicio Severo, suo contemporaneo e biografo “ufficiale”, afferma che il diavolo affrontò il santo brandendo un corno di bue, mentre Venanzio Fortunato, vissuto nel VI secolo, lo descrive mentre affronta una giovenca indemoniata, che tenta più volte di incornarlo.
Si ricordi poi che il corno di bue fu per molto tempo un recipiente usato per contenere il vino, elemento collegato alla festa di San Martino, che veniva appeso sulle porte dell'osteria nell'Alto Lazio, mentre, anche nelle zone della Romagna, dove per indicare il marito beffato si usa il termine “becco”, riferito al caprone, gli elementi rituali del periodo sono collegati alle corna di bue.
Resta il fatto che, prima dell'urbanizzazione, anche se non a livello ufficiale, la festa era parecchio sentita: secondo alcuni interpreti tutti dovevano festeggiare, perché, per il solo fatto di essere sposati, erano considerati cornuti, uomini e donne in un'insolita parità.
Per la maggior parte degli studiosi di folklore, invece, l'inizio di novembre, che coincide con l'antico capodanno celtico, il Samahin, era un periodo fuori dal tempo, quando prima di iniziare un nuovo ciclo bisognava purificarsi per mantenere ben salda la coesione sociale.
I “peccati” della società venivano a galla e i morti, impersonati dai ragazzi partecipanti allo charivari che, in alcune tradizioni erano mascherati, non facevano altro che punire, nei giorni della semina e quindi della fecondità, i malcapitati con le loro maldicenze. Lo charivari, ossia la gazzarra, che si faceva di solito sotto le finestre di coppie ritenute “irregolari” come quelle che, sposandosi in età avanzata, non potevano garantire una discendenza alla collettività, oppure di coloro che si risposavano dopo la vedovanza, rei di “inquinare” il seme familiare, prendeva di mira i cornuti che non sapevano arginare l'esuberanza delle mogli. Ad essere sbeffeggiate, non erano però le donne adultere, che potevano comunque generare e quindi assolvere alla loro funzione sociale, ma i mariti, rei di non essere abbastanza virili da controllare la fisicità delle compagne.
Nelle storielle popolari che raccontano di un San Martino cornificato, un tratto comune è l'inganno perpetrato dalla donna che, con la scusa di espletare un urgente bisogno fisiologico, elude la sua sorveglianza e incontra l'amante. Martino, coraggioso vincitore sul demonio, in questi racconti, perde la sua aura sacra e si fa beffare dalla donna, sia essa la moglie, la figlia o la sorella. Condivide quindi il destino degli uomini che, benché virili ed in grado di condurre eserciti e comandare città e nazioni, non riescono a controllare la sessualità femminile.



e poi...

G. Baronti. Il buon uso dei santi, Argo, Lecce 2005
E. Baldini. G. Bellosi, Halloween. Nel giorno che i morti ritornano, Einaudi, Torino 2006
A. Cattabiani. Santi d'Italia,BUR, Milano 2004

http://www.acrcornuti.it/index.php/component/content/category/9-cornuti-ruvianesi