L'immagine
per il mese di gennaio è un mosaico della cripta dall'abbazia di San
Colombano a Bobbio. Rappresenta un personaggio con due facce intento
a scaldarsi al fuoco. Sotto di lui il segno dell'acquario.
L'abbazia
di san Colombano fu fondata nel 614 a Bobbio dall'omonimo monaco
irlandese, la cui regola prescriveva, oltre ai tradizionali compiti
della vita monastica quali la preghiera e il lavoro agricolo, anche
la diffusione della cultura. L'abbazia fu infatti un importante
centro culturale con scriptorium e una biblioteca
fornitissima. La basilica odierna venne edificata nel 1400 sopra una
precedente chiesa costruita intorno all'anno 1000.
Il
nostro mosaico, realizzato con sassi del Trebbia e inserti marmorei,
si trova sul pavimento di quest'ultima, in una cappella della cripta,
che, assieme al campanile, è ciò che rimane della primitiva
costruzione. Sono raffigurate scene tratte dal libro dei Maccabei,
animali fantastici e appunto la serie dei mesi.
Gennaio
bifronte è una chiara allusione a Giano, la divinità
romana custode delle porte e dei passaggi che guardava con volto di
vecchio il passato e di giovane il presente, cui il mese, che ne
porta il nome, era dedicato. Talvolta, il primo mese dell'anno è
raffigurato addirittura con tre volti come nella Misericordia degli
Stalli di Zurigo, a rappresentare passato, presente e futuro.
Il
personaggio del nostro mosaico si scalda accanto al fuoco, allusione
al clima rigido della stagione, ma pure un chiaro richiamo ai tanti
fuochi accesi durante i riti le feste del mese di gennaio. Periodo di
passaggio quello a ridosso del solstizio invernale: si officiavano
cerimonie di purificazione , ma il fuoco era anche segno di forza che
si voleva imprimere al sole all'inizio del suo nuovo cammino. Il 6
gennaio, in molte località è usanza bruciare la Vecchia, un
fantoccio carico di doni, simbolo della natura invecchiata che deve
morire per rinascere, ma che, prima di andarsene porta regali come
semi, richiamo alla continuità con il passato.
Pure
S. Antonio Abate, festeggiato il 17 gennaio come protettore degli
animali e raffigurato in compagnia di un maialino, viene associato
nella tradizione popolare al fuoco, tanto che l'herpes zoster nel
linguaggio corrente è diventato il fuoco di S. Antonio. Le
basi storiche si ritrovano nelle cure prestate presso la città di
Vienne, in Francia, dove erano custodite le reliquie del santo
traslate da Costantinopoli, ad un male oggi pressoché debellato:
l'ergotismo che era comunemente chiamato Ignis Sacer. Causato da un fungo della farina di segale, si
manifestava con tremori, convulsioni, difficoltà di deambulazione,
febbre e cancrena. I monaci, che gestivano l'ospedale, avevano ottenuto
dal papa il privilegio di allevare maiali, con il cui grasso curavano
appunto l'ignis sacer.
Secondo
una leggenda, S. Antonio aveva guarito un porcellino malato, che poi
divenne suo fedele amico e fu proprio grazie allo scompiglio causato
da quest'ultimo fra i diavoli, che il santo poté intrufolarsi
all'inferno e rubare il fuoco da donare agli uomini. In tutta Italia,
nei giorni a ridosso della sua festa, si benedicono gli animali e si
accendono falò. Probabilmente, la figura di Antonio altro non è che
la cristianizzazione di una divinità celtica: Lug, signore della
luce e della rinascita, dio del rinnovamento cui era affidata la
fertilità degli animali. A lui erano consacrati i maiali e i
cinghiali.
A
Villalago in Abruzzo la sera del 21 gennaio si accendono fuochi in
onore di un altro santo, Domenico. Gennaio si chiude con i giorni
della merla che, secondo tradizione, sono i più freddi dell'anno e
nel cremonese è sopravvissuto un rito, che racchiude
tutta la simbologia del mese: il fuoco di purificazione, i canti
propiziatori, gli spari che allontanano gli spiriti malvagi e la
porta come rito di passaggio.
A
Formigara c'è il canto
della merla,
durante i primi due giorni, dopo i cori si sparano colpi di fucile e
si banchetta con vin brulè e salamelle, mentre il terzo si conclude
con una drammatizzazione: uomini e donne si pongono l'uno di fronte
all'altro, separati da una porta che si apre dopo che i due gruppi si
sono punzecchiati col canto, permettendo a uomini e donne di
abbracciarsi. A conclusione si accende un grande falò e si brucia il
fantoccio della vecchia.
per
saperne di più:
A. Cattabiani, Lunario, Mondadori 2002
R.G.
Russo, Il Fuoco di S. Antonio,
in http://www.mondimedievali.net/medicina/altomedioevo25.htm
M.
Balice, Candelora – Imbolc,
inhttp://www.strie.it/ruota_candeloraOG.html
J.
Baltrušaitis, Il medioevo fantastico, Adelphi 1993
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